Siamo veramente troppo all'inizio della stagione del Napoli per darne un giudizio che possa essere in qualche modo rappresentativo di una verità che non sia solo autoreferenziale e, perché no, anche un po' sibillina - una vera specialità per chi è napoletano, vista la ben nota leggenda cumana.
Tutto si sta svolgendo (direi finalmente) secondo i voleri di Antonio Conte, o almeno così si spera, non augurandosi nessuno un altro caso alla Rafa Marin, che tante difficoltà ha portato alla retroguardia azzurra in un momento critico della stagione scorsa e tanti dissapori (anche di più di quelli venuti a galla su media e social) ha lasciato per un bel po' sul campo tra dirigenza e staff tecnico.
Le prime due uscite ufficiali di Dimaro-Folgarida sono peraltro state del tutto interlocutorie, come era normale che fosse, vista la dura preparazione voluta dal tecnico leccese fin dal primo minuto di ritiro e il cartello di lavori in corso affisso (ma non proprio a titoli cubitali) sulla porta del campo di allenamento dei partenopei nel grazioso comune trentino. La prima parte dell'esperienza comune lontano da Napoli, volta a conoscersi e a formarsi atleticamente e tatticamente, è finita. Si scende al sud per qualche giorno di pausa prima della seconda fase di preparazione, che vedrà gli azzurri impegnati a gettare le basi tecniche (che si sperano solide) per il futuro a Castel di Sangro, vera porta di accesso al campionato che presto arriverà e che il Napoli dovrà disputare da prima della classe. Mai come quest'anno non ci sarà tempo di provare, rivedere, dubitare.
Le certezze dovranno necessariamente essere prevalenti sulle perplessità. La squadra campione d'Italia dovrà dimostrare, a differenza dello scorso anno, di avere un volto e una identità sin dalla prima volta in cui la vittoria conterà. E a quel punto non varranno a nulla le belle parole spese nelle roboanti conferenze stampa, a nulla serviranno le classifiche già stilate dagli addetti ai lavori e a meno di nulla serviranno i valori dei singoli calciatori acquistati.
Peseranno le idee, le fratellanze e la bellezza del gioco del calcio. Ha ragione Maurizio de Giovanni quando in un incontro pubblico mi ha detto - con l'affetto e la bonarietà propria di un caro e vecchio amico - che io, a differenza sua, sono un esteta del calcio. Lo ammetto, è così. Per me non basta vincere, ma la vittoria, e più genericamente ogni successo, vanno meritati, occorre esserne degni. E al di là dei buoni o cattivi acquisti, è questa idea di affermazione che io vorrei che quest'anno fosse coltivata.
