Perle di vetroil commento di Federico Festa

Faranda: "Quando ho ucciso il papà di Agnese Moro"

A Sant’Agata De Goti il volto del dolore e il volto del terrore raccontano gli anni di piombo

faranda quando ho ucciso il papa di agnese moro

C’è una orrenda e tenerissima frase che aiuta a capire. Spigola tutto il percorso compiuto. Manda a schiantarsi ogni mostruosa illusione cui conduce l’ideologia malata, selettiva: “… quando ho ucciso il papà di Agnese…”.

Lei è Adriana Faranda, ex Brigatista rossa, componente del gruppo armato che pianificò il sequestro del presidente della democrazia cristiana Aldo Moro: 16 marzo 1978. Cinque morti. Dopo 55 giorni di prigionia, il 9 maggio del 1978, anche l’onorevole Moro venne ucciso.

Per noi, per tutti noi era Moro. L'onorevole. Il Presidente. Per Agnese no.

A Sant’Agata De’ Goti, come accade da almeno due anni, l’ex terrorista si ritrova e si riconfronta con Agnese Moro, figlia dello statista. Aveva 25 anni Agnese. Da allora, lo struggente desiderio che la consuma è non aver potuto dire quell’ultima parola, dare quell’ultimo bacio, stringere quell’ultimo abbraccio.

Anche lei, anche Agnese tenta di spiegare perché ad un certo punto “devi dire basta, scegliere la vita e decidere che il male, anche il male che ti hanno fatto, deve finire con te, non devi più alimentarlo. Per anni, per decenni la rabbia, il rancore, l’odio, il desiderio di giustizia hanno trovato sfogo nelle aule di tribunale. Ma quelli erano gli aspetti penali, il lato materiale del dramma. Il dolore non passa. Resta dentro. E’ come un urlo che non trova voce. Mi sono accorta che non riuscivo ad andare avanti. Mi sono accorta che anche se non detto quel dolore continuavo a comunicarlo a chi mi stava vicino. E lo avrei lasciato in eredità ai miei figli se non avessi incontrato persone capaci di aiutarmi”.

L’idea di mettere in un unico gruppo, facendole confrontare e dando anche ad altre persone l’opportunità di vedere insieme il volto del dolore e il volto del terrore è di un padre gesuita, Guido Bertagna. Il progetto ha già nove anni.

Vittime e carnefici (il gruppo si compone di almeno settanta persone) girano il paese per spiegare “che quando si divide il mondo in due parti, quando si pensa che soltanto una di queste sia degna, sia quella buona, mentre l’altra, la cattiva, sia da eliminare, ottieni un solo risultato: fratturi l’amore e lo rendi miope, negando la dignità a chi non la pensa come te”, spiega Adriana Faranda al di là dei manicheismi che ancora oggi, e nonostante tutto, continuiamo a vivere quotidianamente, con “crociate” fatte partire contro chi ha un’idea altra.

Queste due donne raccontano un mondo che non esiste più. Le scelte orribili e irrimediabili restano. Non si parlano per sanare cicatrici. Non si stringono la mano per dare o ricevere perdono. Escono dal quadro di Munch. Pochi lo notano. Dietro quell’urlo strozzato ci sono persone che arrivano. Come un segno. Come un dolore che trova pace.