Il presente è caratterizzato da una quarantena forzata, trascorsa tra allenamenti, libri, documentari e l'analisi delle vecchie partite. Ma lo sguardo di Alessando Micai è proiettato anche al suo futuro a tinte granata. «Mi piacerebbe lasciare un segno importante a Salerno e diventare un uomo simbolo di questa squadra, magari da capitano e in serie A», ha detto il portiere, rispondendo alle domande dei tifosi nel corso dell'appuntamento social promosso dalla Salernitana. «Salerno è il mio presente. Se in futuro mi chiedessero qual è il mio ricordo più bello, mi piacerebbe rispondere con la promozione in massima serie», ha ribadito l'estremo difensore che, dopo un avvio difficile, è riuscito ad ambientarsi al meglio all'ombra dell'Arechi. «Di Salerno mi piace tutto: dalla città alla gente, si vive bene. Ho avuto un periodo difficile di adattamento ma in questo secondo anno mi sono ambientato alla grande anche grazie all'affetto della gente», ha ammesso il portiere del cavalluccio marino. «Questa è una maglia prestigiosa, non mi riferisco ai trofei vinti ma a quanto calore c'è dietro questi colori. È una maglia alla quale tutti i calciatori dovrebbero ambire. Il coro che mi piace di più? “State tutti attenti che”. E anche “Urlando contro il cielo”. Sono venuto a giocare anche da avversario e l'Arechi è impressionante, uno stadio pesante soprattutto per i portieri».
Ma in questa fase di quarantena c'è stato tempo anche per ripensare ai ricordi. «Quello più brutto è legato sicuramente alla partita con il Benevento e a quel famoso autogol. I più belli la finale play-out con il Venezia e il debutto all'Arechi contro il Palermo davanti a 20mila persone».
Micai ha parlato anche del suo rapporto con i compagni di squadra. «Sono tutti ragazzi simpatici, mi trovo bene con tutti, è un bel gruppo. Spero si torni a giocare al più presto». E dei suoi 'progressi' con il dialetto salernitano. «Sono bravissimo a dire le parolacce - ha detto scherzando -. Oppure “jamm' vrimm e venc, se no so buff”, e io ne so qualcosa...».
Il portiere ha, poi, spiegato che «la partita è l'esame della settimana, è più importante essere concentrati durante gli allenamenti. Il mister è molto bravo in questo perché tocca tutti i punti della squadra avversaria e questo ti dà grande sicurezza quando scendi in campo».
Non è mancata una parentesi anche sul suo passato. «Sono sempre stato attratto dal ruolo del portiere anche se da piccolo volevo giocare attaccante. Avendo papà e zio portieri ho deciso di giocare in questo ruolo. Perché indosso la numero 12? In B ho debuttato con la 12. Davanti a me avevo due portieri di spessore. Da quel giorno ho deciso che quel numero facesse per me, lo porterò sempre avanti. Il mio idolo? È e sarà sempre Gianluigi Buffon. Un grande portiere italiano. Nel 2006 avrebbe meritato il pallone d'oro».
In questa fase di quarantena sono costanti i contatti con la famiglia che vive in provincia di Mantova. «Sento tutti i giorni le mie due nonne, mi chiedono sempre di Djuric. Stanno tutti bene fortunatamente ,il sindaco è stato molto bravo a isolare le zone ma percepisco che tutta la popolazione in questo momento ha molta paura». Infine l'appello: «Restate a casa, andrà tutto bene».
