Avellino calcio, come è nata l'indagine e che c'entra Covisoc

Dettagli sull'indagine che non c'entra con il ricorso al Coni. Ecco perché l'acquisizione a Roma.

In dettaglio come è nata l'indagine e come si è evoluta finora.

Avellino.  

 

di Andrea Fantucchio 

Ieri vi abbiamo parlato dei reati ipotizzati nei confronti dei sette indagati nell'inchiesta sull'Avellino calcio e alcune società di fornitura (leggi i dettagli sugli indagati e l'inchiesta). Un'indagine coordinata dal sostituto procuratore, Vincenzo D'Onofrio, su false comunicazioni sociali, emissione di fatture inesistenti e ostacolo alle funzioni di vigilanza. Oggi approfondiamo come sono nate le indagini e i dettagli sulla perquisizione a Roma nella sede della Covisoc (Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche). Partiamo da quest'ultimo aspetto. Visto che il ricorso al collegio di garanzia del Coni è alle porte. E sancirà la permanenza o meno dell'Avellino in serie B.

L'indagine non c'entra con le fideiussioni depositate dall'Avellino e oggetto proprio del parere della Covisoc che ha bocciato il primo tentativo della società biancoverde di partecipare al campionato. Così sono nati il primo e poi il secondo ricorso che sarà discusso la prossima settimana. Insomma questa indagine è slegato dall'udienza dinanzi al Coni. 

L'acquisizione di ieri della finanza mirava a chiarire, fra le altre cose, se ci sia stato un ostacolo alle funzioni di vigilanza svolte dalla Covisoc. Il reato ipotizzato proprio nei confronti di Taccone e di alcuni dirigenti, ancora da identificare, preposti alla redazione dei documenti contabili della società. Per l'accusa, infatti, il patron biancoverde avrebbe ostacolato la funzione della commissione «esponendo fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società sportiva da lui amministrata, e omettendo le comunicazioni dovute all'organo di controllo».

Accuse sempre respinte dal diretto interessato che, anche attraverso note ufficiali, ha sempre ribadito la trasparenza nel modo di agire del club biancoverde.

Ma come è nata l'indagine?

Tutto è iniziato con degli accertamenti dell'Agenzia delle entrate su alcune trattative che riguardavano i contratti di fornitura offerte da società in favore dell'Avellino.

Come per la Mabevi. I funzionari si sono focalizzati su un contratto, non registrato, stipulato il 2 gennaio 2015 per la manutenzione, l'integrazione e l'assistenza di videosorveglianza. Un capitolo del contratto era poi dedicato alla reperibilità h 24 dei tecnici della società.

L'Us Avellino si impegnava a erogare le somme entro fine dicembre 2015 con un compenso per l'assistenza mensile di 20mila euro “a tariffa promozionale”. Nel fascicolo dell'agenzia si legge che la Mabevi avrebbe emesso un'unica fattura, datata 31 dicembre 2015, per un importo di 240mila euro più Iva, indicando come prestazioni quelle indicate nel contratto.

Un secondo accordo commerciale, non registrato, è stato stipulato nel gennaio 2016 per le stesse finalità del primo e ha una durata di cinque mesi con chiusura prevista al 31 maggio. L'Us Avellino si impegna a erogare le somme concordate entro dicembre dello stesso anno e la fatturazione, sul conto corrente della Mabevi, deve avere cadenza mensile per un compenso stavolta di 50mila euro con Iva.

La società di fornitura informatica ha emesso cinque fatture, con cadenza mensile, per un totale di 250mila euro.

Secondo quanto si legge nei verbali di accertamento «L'Avellino, contrariamente a quanto stabilito nei contratti stipulati, ha pagato tramite bonifico bancario soltanto 122mila euro, compensando gran parte della cifra con fatture per sponsorizzazioni emesse nei confronti della Mabevi per l'importo complessivo di 475mila euro e 800 euro».

Gli inquirenti ritengono che le alcune fatture siano state emesse dalla Mabevi per prestazioni non effettivamente fornite o comunque non nella misura indicata nella documentazione. Anche se l'Us Avellino, come si legge nella relazione dell'agenzia, rispetto al servizio svolto dalla Mabevi afferma che «la stessa ha svolto lavoro di fornitura video a supporto dello staff tecnico del club e della dirigenza». Sull'attività di manutenzione la società avrebbe «impegnato due tecnici nella manutenzione dell'impianto suddiviso in 3 telecamere presso la zona spogliatoio, 3 presso la biglietteria e 3 presso la sede legale». Eppure per gli ispettori «sarebbe stata allegata una serie di documentazioni elettroniche a supporto (costituita prevalentemente da filmati), senza evidenziare l'attività effettivamente svolta dalla Mabevi».