Errico, quella testa che può e deve fare la differenza

Due volte il Covid, due volte guai muscolari. Il gioiellino è a un bivio. Ora dipende tutto da lui

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Avellino.  

Il calcio è pieno di storie in cui la testa fa la differenza. Quella testa non intesa come quella che colpisce il pallone su un cross e lo mette in fondo alla sacco, o meglio anche, ma quella che indirizza un atleta nell'approccio mentale alla quotidianità, tra allenamenti e spogliatoio, fino ad arrivare alle partite. Di calciatori che sarebbero stati destinati a grandi palcoscenici, se proprio quella testa non li avesse limitati favorendo l'espressione di esuberanze che mal si conciliano con il professionismo ad alti livelli, la storia del pallone ne è piena zeppa. Non di meno di chi aveva grandi mezzi tecnici, ma non è riuscito a esprimerli fino in fondo perché quella testa l'ha nascosta sotto terra, come gli struzzi, per l'incapacità di reggere le pressioni. C'è poi pure un altro tipo di testa, quella che può diventare un limite se viene affollata dalle paure di un trauma. Una presenza così ingombrante che rischia di farti perdere di vista il tuo talento, i tuoi mezzi, le tue potenzialità. Per un tempo più o men prolungato. C'è da augurarsi che non sia il caso di Andrea Errico.

A tal proposito, oggi, nella doppia conferenza stampa all'antivigilia di Avellino - Cavese, si è percepita una preoccupazione di fondo sia nelle parole di Braglia, sia di Di Somma. Se prima era velata, ora è di dominio pubblico. Errico, l'Avellino ha voluto, atteso, aiutato, coccolato. Due volte alle prese col Covid, due volte alle prese con problemi di natura muscolare, che gli hanno tarpato le ali. Ciò che doveva essere non è stato. Di certo, non ancora. Dopo la ricaduta con il Catanzaro, la prudenza è stata raddoppiata per riaverlo al top in vista del girone di ritorno. Unico per caratteristiche in organico, capace di saltare l'uomo e di agire tra le linee, Errico ha bisogno di ritrovarsi proprio di testa. Tutt'altro che un dettaglio. Eh sì, perché giocare temendo di farsi male, da un punto di vista atletico, può essere il preludio affinché ciò accada. Proprio come contro il Catanzaro. Temere di farsi male può anche non farti giocare o farti giocare male. E, allora, non resta incrociare le dita.

“Errico non è ancora come lo conosciamo noi, ma è sulla buona strada. Parliamo di un ragazzo che ha timore che giochi e gli succeda qualcosa. Ha qualità, ma deve stare bene, anche di testa, per giocare.” ha spiegato Braglia a proposito della famosa testa.

“Mi piacerebbe un giocatore che avesse qualità tecniche importanti, che salti l'uomo, che abbia qualità. Uno in grado di giocare tra le linee. Un Errico, ecco. Può fungere da mezzala sinistra, ma anche da trequartista. Prima di valutare soluzioni alternative, speriamo di recuperarlo psicologicamente. Deve sbloccarsi mentalmente perché ha paura di infortunarsi di nuovo.” ha aggiunto Di Somma, sintetizzando alla perfezione la speranza che il ragazzo riesca a far vedere, finalmente, di che pasta è fatto. Nelle parole del direttore sportivo c'è, però, pure un monito.

L'Avellino non potrà aspettare Errico all'infinito. In un 3-5-1-1 o in un 3-4-1-2, Errico o non Errico, servirà un trequartista. La palla passa a Errico, per adesso metaforicamente. Sta a lui dimostrare che la classe e la voglia di emergere possono far scattare quella molla, proprio lì, nella testa, che non serve solo per i colpi di genio nelle giocate; per risolvere le partite, ma anche, con un semplice “click”, per ricordare quanto emozionare ed emozionarsi per la possibilità di giocare il gioco più bello del mondo possa sopraffare e vincere le sensazioni più negative.